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IL SOFFIO DELLA VITA

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Messaggio Da ROMPINA Mar 17 Nov 2009, 20:01

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 152028854_457403adce




SCREENSAVER RILASSANTE PER VOI .....SOFFICE RELAX
Living Waterfall è un salva schermo gratuito molto realistico che magicamente trasforma il tuo monitor in una cascata vivente. È accompagnata da musica rilassante, pesci che nuotano e uccelli che volano. Se la musica è troppo si può spegnere.

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_flower UN SOFFICE INCHINO ZEN IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_flower

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Messaggio Da ROMPINA Mar 17 Nov 2009, 20:07

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_razz RIPROVO AD INSERIRE IL LINK SEPARANDOLO, COSI' SI VEDE: IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_biggrin

http:// download.chip.eu/it/Living-Waterfalls .Screensaver 1721181.html

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_jokercolor TUTTO UNITO OVVIAMENTE IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_wink

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IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Empty RIPRENDIAMO IL DISCORSO INTERROTTO SULLA MEDITAZIONE

Messaggio Da INFERNO Ven 20 Nov 2009, 11:42

MEDITARE A CASA
COME CREARE IL NOSTRO DOJO (Dojo significa Do = Via & Jo = posto/luogo):
http://www.monasterozen.it/infoglueDeliverLiveMonasterozen/ViewPage.action?siteNodeId=85&languageId=4&contentId=-1

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 1286_ill14_zendo_casa03
PER APPROFONDIRE DIVERSE TEMATICHE TRA CUI I SUTRA:
http://www.gianfrancobertagni.it/Discipline/zen.htm
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Messaggio Da INFERNO Ven 20 Nov 2009, 11:59

http://xoomer.virgilio.it/coaafg/a_introduzione.htm
http://xoomer.virgilio.it/coaafg/slices/slice_home.jpg
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Dharma11
Un giorno un'immensa folla di persone si radunò
per ascoltare gli insegnamenti
di Sakyamuni il Buddha.
Ma quella volta il Buddha non disse una parola,
prese un fiore e lo tenne davanti a sè.
Solo il discepolo Kasyapa
comprese l'essenza di quel gesto,
avvenne così la prima trasmissione
di un insegnamento senza parola,
da maestro a discepolo, da mente a mente.
I SHIN DEN SHIN

Mille anni dopo un monaco indiano arrivò in Cina
dopo un lungo viaggio.
Si chiamava Bodhidharma,
era il 28° erede di una ininterrotta linea
di maestri o patriarchi
discendente direttamente dal Buddha,
e portava con sè l'essenza di quell'insegnamento.

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Dharma10
COGLIERE L'ESSENZA DI UN GESTO, POI PORTA A COMPRENDE PURE I FRAMMENTI DELLE PAROLE DETTE E NON DETTE > TUTTO E' RAGGIUNGIBILE A PARTIRE DAL NULLA
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Messaggio Da INFERNO Ven 20 Nov 2009, 13:34

CONSIDERAZIONE ZEN: SE PENSIAMO CHE OPTARE PER IL SILENZIO, SIA SEMPRE UNA SCELTA AL RIBASSO, NON E' CERTAMENTE CORRETTO > PARTECIPARE AL SILENZIO, E' ANCHE UNA SCELTA COSTRUTTIVA DI RICERCA DI VALIDI CONTENUTI PER RIEMPIRE QUEL VUOTO PIENO DI TANGIBILE SOSTANZA > MI RIFERISCO PURE A QUESTO: https://limoncello.forumattivo.com/benvenuti-f1/una-domanda-a-tutti-gli-iscritti-t597.htm
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IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Empty LA LEGGE D'ATTRAZIONE

Messaggio Da INFERNO Sab 21 Nov 2009, 03:41










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Messaggio Da INFERNO Lun 23 Nov 2009, 16:42


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Messaggio Da INFERNO Mar 01 Dic 2009, 12:11

PERCHE' LE PERSONE GRIDANO, QUANDO SONO ARRABBIATE??
Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli:
"Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?"
"Gridano perché perdono la calma" rispose uno di loro.
"Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?" disse nuovamente il pensatore.
"Bene, gridiamo perché desideriamo che l'altra persona ci ascolti" replicò un altro discepolo. E il maestro tornò a domandare: "Allora non è possibile parlargli a voce bassa?" Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore.
Allora egli esclamò: "Voi sapete perché si grida contro un'altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l'uno con l'altro. D'altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché?
Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l'amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E' questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano."
Infine il pensatore concluse dicendo: "Quando voi discuterete non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare."

Mahatma Gandhi IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 10332_102466779770061_100000202191128_68593_4498410_s
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Messaggio Da INFERNO Mar 01 Dic 2009, 12:16

http://it.wikipedia.org/wiki/Mahatma_Gandhi
Mahatma (in sanscrito महात्मा, "grande anima")
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 220px-Gandhi_Kasturba_1942
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Messaggio Da INFERNO Mar 01 Dic 2009, 12:25

LE PAROLE SONO SECONDARIE

Oggi..
Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi. - Ernest Hemingway
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Messaggio Da INFERNO Mer 02 Dic 2009, 01:56


https://www.youtube.com/watch?v=BEMVx1eDeZE
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Messaggio Da ROMPINA Mer 02 Dic 2009, 15:20




"...CI GUADAGNO IL COLORE DEL GRANO ..."

" ... L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI ..."

" ... DIVENTI RESPONSABILE PER SEMPRE DI CIO' CHE ADDOMESTICHI ..."

da IL PICCOLO PRINCIPE di ANTOINE DE SAINT EXUPERY

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Messaggio Da INFERNO Ven 04 Dic 2009, 11:51

http://www.fiorigialli.it/dossier/rivista.php?id=6&articolo=1307
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Big_fg_dossier_testate_6IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Big_fg_dossier_testate_6IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Big_fg_dossier_testate_6di Ken Wilber

"Ho potuto costantemente rilevare che ogni stadio dell’evoluzione in qualunque dominio coinvolge una nuova apparizione e quindi una nuova profondità, o una nuova interiorità, sia che si applichi a molecole o a uccelli o a delfini; e che ciascuna nuova interiorità è anche un nuovo andare oltre, una trascendenza, una più alta e ampia identità con un più grande abbraccio totale. La formula è: andare dentro = andare oltre = un più grande abbraccio. Ed io voglio fare chiarezza su ciò che significa. Questo è estremamente importante, penso, perché i più alti stadi di sviluppo, gli stadi transrazionali e transpersonali e mistici, coinvolgono tutti una nuova interiorità. L’accusa che è stata fatta circolare da qualche tempo, è che attività come la meditazione sono qualcosa di narcisistico e introverso. Gli ambientalisti, in particolare, spesso sostengono che la meditazione è qualcosa per ‘sfuggire’ o di ‘egocentrico’, e che questo ‘andare dentro’ ignora semplicemente i problemi ‘reali’ nel mondo ‘reale’ ‘fuori di qui’. E’ precisamente l’opposto.

Lontano dall’essere qualche sorta di introversione o isolamento interiore, la Meditazione e lo sviluppo transpersonale in generale è una semplice e naturale continuazione del processo evolutivo, dove ogni cosa che avviene dentro è anche un andare oltre verso un più vasto abbraccio. Rammentiamo che due dei principi (8° e 12°) stabilivano che la crescente evoluzione significa crescente profondità e crescente autonomia. Nel reame dello sviluppo umano, questo viene fuori particolarmente nel fatto che, in accordo con la psicologia dello sviluppo (come vedremo), la crescita e lo sviluppo coinvolgono sempre una crescente interiorizzazione. E paradossalmente più è interiorizzata una persona, meno narcisistica diviene la sua consapevolezza. Così occorre capire perché, per tutte le scuole di psicologia dello sviluppo, è vera questa equazione: crescente sviluppo = incremento dell’interiorizzazione = decrescente narcisismo (o decrescente egocentrismo).

In breve, occorre capire perché più interiore è una persona, meno egocentrica diviene. In altre parole, più uno va dentro, o più uno sviluppa introspezione e riflessione su di sé, più può divenire distaccato da sé stesso, più uno può andare oltre la sua limitata prospettiva; e così diviene meno narcisistico e meno egocentrico (o più decentrato). Questa è la ragione per cui Piaget dice sempre cose che appaiono paradossali, come questa: ‘Infine, appena il bambino diviene cosciente della sua soggettività, egli si libera della sua egocentricità’. In breve, più uno va dentro, più va oltre, e più può così abbracciare una più profonda identità con una più ampia prospettiva.

La Meditazione, allora, come vedremo in dettaglio, coinvolge anche un ulteriore andare dentro. E così un ulteriore andare oltre, la scoperta di una nuova e più alta consapevolezza con una nuova e più vasta identità – e così la meditazione è uno dei più forti antidoti all’egocentrismo e al narcisismo, (e al geocentrismo, all’antropocentrismo e al sociocentrismo).

Ricordiamo il punto centrale del Piaget sull’egocentrismo, per la precisione, che ‘l’egocentrismo oscura la verità’. Ne consegue che la meditazione, come antidoto all’egocentrismo, dovrebbe coinvolgere un sostanziale incremento della capacità di apertura alla verità, uno schiarimento della ragnatela della percezione sé-centrica ed un aprirsi in cui il Kosmo potrebbe manifestarsi più chiaramente, ed essere visto, ed essere apprezzato – per ciò che esso è e non per ciò che esso può fare per me.

In breve, ogni interiore ci torna fuori, in un di più del Kosmo. Questo è ciò che sembra così confuso agli olisti flatland (e agli ecologisti critici della contemplazione), perché nel loro mondo flatland del sé e del cosmo, più attenzione poni su una cosa, meno attenzione hai per le altre (vogliono gli occhi di ognuno inchiodati sulla natura esterna), laddove invece dovunque nel Kosmo pluridimensionale e olarchico, più le profondità del sé si dischiudono, più si rivelano le corrispondenti profondità del Kosmo.

Questo movimento generale del dentro-e-oltre non è per niente nuovo per gli esseri umani: è una semplice continuazione del processo evolutivo del Kosmo, che è ‘auto-sviluppo attraverso auto-trascendenza’, lo stesso processo al lavoro negli atomi, molecole, cellule; un processo che, nei domìni umani, continua naturalmente nella supercoscienza, con, per la precisione, niente di occulto o misterioso su di esso."[SES, pp.263-265]

SANTA TERESA D'AVILA E IL CASTELLO INTERIORE
IL LIVELLO SOTTILE NELLA CONTEMPLAZIONE

La seconda è la mistica dissociazione, dove la natura e lo spirito sono ontologicamente separati e divisi; vero e proprio ‘altromondo’.

La terza è il misticismo psichico: la natura è una perfetta espressione dello spirito (o come sostiene Spinoza, la natura è un sottoinsieme dello spirito) ; il ‘di queso mondo’e ‘di ‘altromondo’ sono uniti e congiunti. Riferendosi al terzo punto: una delle maggiori e determinanti caratteristiche del livello del misticismo psichico è che quella è una identità conscia della fisiosfera, della biosfera e della noosfera – essa non privilegia semplicemente la biosfera; essa non è una semplice geocentrica/egocentrica indissociazione e regressione. Essa non è un Sé ecologico; essa è un eco-noetico Sé. Lo Spirito, nella visione di Emerson, non costruisce la natura intorno a noi, ma piuttosto ‘attraverso’ noi: vi è una profonda differenza tra natura/misticismo-nazione e mera immersione biocentrica; vi è la differenza tra eco-noetico-Sé e il mero sé ecologico; vi è la differenza fra trascendenza e regressione. In una sintesi interpretativa di Emerson largamente accettata: 1) la natura non è lo Spirito ma un simbolo dello Spirito (o una manifestazione dello Spirito); 2) la consapevolezza sensoriale in se non rivela lo Spirito ma lo oscura; 3) per dischiudere lo Spirito é richiesta una corrente ascendente trascendentale; 4) lo Spirito si comprende solo quando la natura è trascesa [cioè lo Spirito è immanente nella natura, ma si dischiude pienamente solo nella trascendenza della natura – in breve, lo Spirito trascende ma include la natura].

In conclusione di questo breve excursus del livello psichico descritto da W. soprattutto attraverso Emerson, vi sono due punti che vanno sottolineati.

Il primo è che questo nuovo andare all’interno è un nuovo andare oltre: una nuova e più alta identità interiore (L’Oltre Anima) accompagnata da un nuovo e più vasto abbraccio di altri (l’Anima Mondo) - una singola Anima che abbraccia fisiosfera, biosfera e noosfera in un’unica carezza amorevole.
La seconda cosa è la relazione tra il Sé globale e/o l’Oltre-Anima e l’intera nozione di moralità e dello sviluppo morale stesso.

Lo sviluppo del senso morale evolve dal fisiocentrico al biocentrico al sociocentrico al mondocentrico (‘mondocentrico’ essendo il globale o planetario o universalizzante raggiungimento della razionalità e quindi del vision–logic). E qui, al livello psichico, la concezione mondocentrica va verso una esperienza direttamente mondocentrica, una diretta esperienza del globale Sé/Mondo. L’Eco-Noetico-Sé, dove ciascun individuo è visto come una espressione dello stesso Sé o Oltre-Anima. E cosa ha questo a che vedere con la moralità? Ogni cosa, afferma Wilber, in accordo con Emerson e Schopenhauer; poiché tutti gli esseri senzienti sono espressione di un unico Sé, allora tutti gli esseri sono trattati come il Sé unico.

Quella realizzazione – una profonda fruizione della spinta decentrante dell’evoluzione – è la sola sorgente della vera compassione, una compassione che non mette sé al primo posto (egocentrismo) o una particolare società al primo posto (sociocentrismo) o gli umani al primo posto (antropocentrismo), né ritiene semplicemente, nel pensiero, di agire come se noi fossimo tutti uniti (mondocentrico); ma direttamente e immediatamente respira l’aria comune e pulsa il sangue comune di un Cuore e un Corpo che è uno in tutti gli esseri. Il punto integrale della sequenza morale è molto fondato ed è esso il vero obiettivo, il punto omega, l’Attrattore caotico, la guida verso l’Oltre Anima, dove trattare gli altri come un unico Sé non è un imperativo morale che deve essere un dovere o una imposizione, ma viene come una cosa semplice e naturale così come il sorgere del sole o il brillare della luna.

Questa morale si intensifica nel sottile e nel causale ma essa anzitutto diviene ovvia qui, nello psichico, e porta naturalmente alla spontanea compassione inerente nell’Oltre Anima, una compassione della quale tutti i precedenti tentativi sono semplici e parziali barlumi

Il livello SOTTILE
Al livello sottile, il processo di ‘interiorizzazione’o del ‘dentro e oltre’, che abbiamo espresso già al livello psichico, si intensifica – una nuova trascendenza con una nuova profondità, un nuovo abbraccio, una coscienza più alta, una più vasta identità – e l’anima e Dio entrano in un nuovo e più ampio matrimonio interiore, che dischiude al suo apice una unione divina tra Anima e Spirito, una unione prioritariamente con ciascuna delle sue manifestazioni come materia o vita o mente, una unione che eclissa ogni concepibile natura. Noi siamo perfettamente liberi di identificarci con la natura, e di trovare una religione geocentrica della Terra che ci consola nelle nostre miserie passeggere...

Siamo liberi di identificarci con la finita, limitata, mortale Terra; noi siamo liberi di chiamare ciò infinito, senza limiti, immortale, eterno. Questo Spirito è dentro e oltre la Terra, supporto e scopo di tutto, questo Spirito è intuìto al livello psichico e viene all’attenzione nello stadio sottile dell’evoluzione della coscienza, includendo completamente gli stadi precedenti, eclissandoli completamente. ‘Quella gioia’, dice Teresa d’Avila, ‘è più grande di tutte le gioie della Terra, è più grande di tutte le delizie, e di tutte le soddisfazioni; ed esse sono percepite, anche, molto differentemente, come io ho imparato dall’esperienza’[Teresa d’Avila, Il Castello interiore].

Ne Il Castello Interiore, uno dei grandi testi sullo sviluppo del livello sottile, Teresa descrive con molta chiarezza gli stadi dell’evoluzione della ‘sottile farfalla’ come lei chiama la sua anima, alla sua unione con il perfetto (autentico) Divino, e lei fa ciò in termini di ‘sette case’ o sette stadi della crescita. I primi tre stadi riguardano la mente ordinaria o ego, ‘nonrigenerato’ nel grossolano, manifesto mondo del pensiero e dei sensi.

Nella prima Casa, quella dell’Umiltà, l’ego è ancora in amore con le creature e le agiatezze fuori dal castello, e deve cominciare una lunga e disciplinata ricerca per volgersi all’interno.

Nella seconda Casa (la pratica della preghiera), lo studio intellettuale, l’edificazione, e la buona compagnia, fortificano il desiderio e la capacità di interiorizzare e non semplicemente spargere (disseminare) e disperdere il sé in distrazioni esteriori.

Nella Casa della Vita Esemplare, il terzo stadio, disciplina e etica sono fermamente considerati come fondazione di tutto ciò che segue (molto simile alla nozione buddista di dhyana, o meditazione, e prajna, o illuminazione interiore). Questi sono tutti sviluppi naturali (o personali).

Nella quarta Casa, una grazia soprannaturale (o transpersonale) entra in scena con la Preghiera della Memoria (reminiscenza) e la Preghiera della Quiete, che Teresa differenzia dai loro effetti corporei. In entrambe, vi è un calmarsi e rallentare delle facoltà come memoria, pensieri, sensi, ed una conseguente apertura al più profondo, a più interiori spazi con la correlativa ‘grazia’, che Teresa chiama, a questo stadio, ‘consolazione spirituale’ (poiché essa è consolazione del sé, non anche trascendenza del sé).

Nella quinta Casa, attraverso la Preghiera dell’Unione, vi è un Fidanzamento Spirituale dove l’Anima dapprima emerge direttamente e intuisce lo Spirito che risiede nella più profonda interiorità del suo stesso cuore (la psiche). ‘Emerge’ perché prima era nelle profondità, e adesso viene alla luce. In questa fase vi è una particolare trasformazione. L’individuo sperimenta, per la prima volta, una completa cessazione di tutte le facoltà (per Teresa è la pura unione con Dio o con quello che chiama Spirito Noncreato). Teresa afferma, con una sua famosa metafora, che prima di questa cessazione (che chiama anche assorbimento) trasformativa, il sé non rigenerato (o ego) è come un baco da seta. Ma un sapore di unione (alla lettera, proprio una singola esperienza di questa, per quanto breve) e il verme emerge come farfalla. Come noi facciamo questo, l’ego sparisce ed emerge l’anima. (‘Tutto l’egotismo svanisce; le correnti dell’Essere Universale circolano attraverso di me; io sono parte o particella di Dio’). Un solo sentire, e la farfalla è nata.
Il resto de ‘Il Castello Interiore’ descrive lo straordinario viaggio di questa piccola farfalla verso la Fiamma primordiale nella quale, alla fine, essa felicemente morirà.

Nella sesta Casa, Amante e Amato, farfalla e Dio, anima e Non-creato Spirito ‘si guardano l’un l’altro’ per un ampio periodo di tempo. Sebbene l’assorbimento della quinta Mansione possa durare circa mezz’ora, vari tipi di assorbimento rimangono per un giorno o diversi giorni.
Sotto l’aspetto positivo è qui, nella sesta Casa, che tutti i tipi di fenomeni del livello sottile cominciano ad emergere alla coscienza, e Teresa le documenta con eccezionale chiarezza: le illuminazioni interiori, i rapimenti, sottili suoni e visioni, i tipi di serenità e di reminiscenza, ‘estasi, rapimento, o trance’. La maggior parte di queste visioni (ultimo psichico e primo sottile) sono in se stesse transverbali (‘le rivelazioni sono comunicate senza parole’, in un modo che coinvolge non chiare espressioni di discorso). Ma l’evento centrale rimane, in ciascuno di essi, la possibilità di assorbimento nello Spirito non creato.

Tutto ciò culmina nella settima Casa, dove vi è l’effettivo matrimonio Spirituale e la visione si dirige verso la diretta visione o la diretta esperienza; la visione indica la via all’apprensione diretta o alla esperienza diretta – ‘unione di tutta l’anima con Dio’.

Ma ciascuno stadio della crescita, abbiamo visto, introduce nuovi tipi di possibili patologie, e così è con la piccola farfalla. Così la famosa ‘Notte Buia dell’Anima’, una frase introdotta da amici e collaboratori di Teresa, è la Notte Buia in quel periodo dopo che si è gustato l’Essere Universale, ma prima che ci si è stabilizzati in esso, poiché uno ha ora visto il Paradiso…e lo ha visto svanire. E Teresa è particolarmente brillante nel descrivere e nel distinguere le agonie dell’anima nelle sue più alte mansioni o stadi da quei problemi emozionali che caratterizzano le facoltà più basse.

La nuova profondità, questa nuova interiorità, che è un nuovo oltre, trascende del tutto la natura, abbraccia completamente la natura, ed è così incarnata nella natura, come Aurobindo spiegò molto efficacemente:

‘il suo primo effetto è stata la liberazione della vita e della mente fuori dalla Materia: il suo ultimo effetto è stato assistere all’emergere di una coscienza spirituale, una volontà spirituale e un senso difondazione di tutto ciò che segue (molto simile alla nozione buddista di dhyana, o meditazione, e esistenza nell’essere terrestre così che egli non sia più oltre solamente preoccupato della sua vita esteriore o dei suoi interessi e scopi mentali, ma ha imparato a guardarsi dentro, a scoprire il suo essere interiore, il suo sé spirituale, ad aspirare a superare [negare e preservare] la terra e le sue limitazioni. Appena egli cresce più e più dentro, i suoi confini mentali [noosfera], vitali [biosfera], e spirituali cominciano ad espandersi, i vincoli che tengono vita, mente, anima, legati alle loro primarie limitazioni vengono allentati o spezzati, e l’uomo, l’essere mentale, viene ad avere la visione di un regno più vasto di sé e del mondo nascosto alla primaria vita terrestre. Se egli fa il movimento interiore cui la stessa più alta visione lo ha condotto come sua più grande necessità spirituale, allora egli troverà nel suo essere interiore una più vasta coscienza, una vita più ampia. Un’azione dall’interno ed un’azione dall’oltre può superare il predominio della formula materiale, ridurre e infine mettere fine al potere della Incoscienza, sostituire lo Spirito alla Materia come consapevole fondamento dell’essere, e liberare le sue potenze più alte alla loro completa e caratteristica espressione nella vita dell’anima incorporata nella natura.’
[Aurobindo, Life divine, pp.704-705 - I problemi del sé in questo stadio vengono trattati da W. anche in The Atman project]

Il livello CAUSALE
Nel livello sottile, l’anima e Dio sono uniti; nel livello causale, l’Anima e Dio sono entrambi trascesi nella prioritaria identità della Essenza Divina (Divinità), o pura consapevolezza senza forma, pura coscienza come tale, il puro Sé come puro Spirito (Atman = Brahman). Non la ‘Suprema Unione’ di Dio e Anima ma la ‘Suprema Identità’ della Divinità. Come dice Meister Echkart ‘Io trovo in questo penetrare-attraverso quel Dio ed io sono uno e lo stesso’. Come si vedrà, questo puro Spirito senza forma è detto essere lo Scopo e il Sommo e la Sorgente di tutte le manifestazioni. E questo è il causale.


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Messaggio Da INFERNO Ven 04 Dic 2009, 12:02

http://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Piaget
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 200px-Jean_Piaget
JEAN PIAGET (Neuchâtel, 9 agosto 1896 – Ginevra, 16 settembre 1980) è stato uno psicologo e pedagogista svizzero. È considerato il fondatore dell'epistemologia genetica, ovvero dello studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo.

La teoria di Piaget sullo sviluppo cognitivo
Piaget dimostrò innanzitutto l'esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell'adulto e, successivamente, che il concetto di capacità cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alla capacità di adattamento all'ambiente sociale e fisico. Ciò che spinge la persona a formare strutture mentali sempre più complesse e organizzate lungo lo sviluppo cognitivo è il fattore d'equilibrio, «una proprietà intrinseca e costitutiva della vita organica e mentale». Lo sviluppo ha quindi una origine individuale, e fattori esterni come l'ambiente e le interazioni sociali possono favorire o no lo sviluppo, ma non ne sono la causa (al contrario ad esempio di ciò che pensa Vygotskij).

Assimilazione e accomodamento
Secondo Piaget, i due processi che caratterizzano l'adattamento sono l'assimilazione e l'accomodamento, che si avvicendano durante l'intero sviluppo.
Assimilazione
L'assimilazione consiste nell'incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito. In pratica il bambino utilizza un oggetto per effettuare un'attività che fa già parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti (per esempio il riflesso di prensione porta il neonato a stringere nella mano oggetti nuovi).
Accomodamento
L'accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti (nel caso del bambino precedente se l'oggetto è difficile da afferrare dovrà per esempio modificare la modalità di presa).
I due processi si alternano alla costante ricerca di un equilibrio fluttuante (omeostasi) ovvero di una forma di controllo del mondo esterno. Quando una nuova informazione non risulta immediatamente interpretabile in base agli schemi esistenti il soggetto entra in uno stato di disequilibrio e cerca di trovare un nuovo equilibrio modificando i suoi schemi cognitivi incorporandovi le nuove conoscenze acquisite. La forma più evoluta di equilibrio cognitivo è quella che usa i sistemi logico-matematici.

Le fasi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget
Nei suoi studi sull'età evolutiva Piaget notò che vi erano momenti dello sviluppo nei quali prevaleva l'assimilazione, momenti nei quali prevaleva l'accomodamento e momenti di relativo equilibrio. Ancor più, individuò delle differenze sostanziali nel modo con il quale, nelle sue diverse età, l'individuo si accosta alla realtà esterna e ai problemi di adattamento che essa pone. Sviluppò così una distinzione delle fasi dello sviluppo cognitivo individuando 4 periodi fondamentali dello stesso, comuni a tutti gli individui e che si susseguono sempre nello stesso ordine.

Fase senso-motoria
Dalla nascita ai 2 anni circa. Come suggerisce il nome, il bambino utilizza i sensi e le abilità motorie per esplorare e relazionarsi con ciò che lo circonda, evolvendo gradualmente dal sottostadio dei meri riflessi e dell'egocentrismo radicale (l'ambiente esterno e il proprio corpo non sono compresi come entità diverse) a quello dell'inizio della rappresentazione dell'oggetto e della simbolizzazione, passando attraverso periodi intermedi di utilizzazione di schemi di azione via via più complessi.
Reazioni riflesse (primo mese di vita): il bambino agisce attraverso schemi senso-motori rigidi innati, anche conosciuti come riflessi neonatali. Reazioni circolari primarie (o fase dei primi adattamenti acquisiti): tra il secondo e il quarto mese di vita il bambino sviluppa le reazioni circolari primarie ovvero la ripetizione di un'azione casuale per ritrovarne gli effetti gradevoli. Il centro d'interesse per le azioni è il proprio corpo. L'esempio è la suzione del dito, trovandola piacevole il bambino la ripete per lunghi periodi. Reazioni circolari secondarie (o fase del comportamento intenzionale): tra il quarto mese e l'ottavo mese il bambino orienta i suoi comportamenti verso l'ambiente esterno cercando di afferrare e muovere gli oggetti e osserva i risultati delle sue azioni (schemi di azione secondari). Agitando un sonaglio provoca dei rumori piacevoli e cerca di ripetere l'azione per riprodurre il suono, prolungando il piacere ricevutone. Anche in questo caso le azioni vengono scoperte casualmente. Una conquista importante di questo sottostadio è la coordinazione della visione con la prensione.

Reazioni circolari differite (o fase dell'attiva ricerca dell'oggetto): tra gli 8 e i 12 mesi si forma nella memoria l'esperienza senso-motoria, il bambino impara dalle sue azioni e quindi è in grado di anticiparne il risultato. Per esempio riprende un'azione su un oggetto dopo averla interrotta. È ancora presente l'Errore A non B. In questa fase il bambino inizia a comprendere la permanenza degli oggetti: nelle fasi precedenti, se l'oggetto scompare dalla vista questo "non esiste", mentre adesso il bambino ricerca l'oggetto, sebbene non riesca ancora a ricostruire uno spostamento reso invisibile. In questo stadio compare l'intelligenza sensomotoria, con la differenziazione tra mezzi e fini: uno schema motorio già acquisito (es. prendere un oggetto) può essere usato come mezzo per raggiungere un fine (es. spostare l'oggetto preso per raggiungere un altro oggetto che si trovava dietro di esso). Reazioni circolari terziarie (o fase del procedimento per prove ed errori): dai 12 ai 18 mesi. Consistono nello stesso meccanismo descritto in precedenza ma effettuato con variazioni, nasce l'interesse per la novità. Ad esempio afferrare e battere un oggetto contro superfici diverse. È la fase della sperimentazione continua. Dai 18 ai 24 mesi (fase della rappresentazione cognitiva): il bambino sviluppa la capacità di immaginare gli effetti delle azioni che sta eseguendo, non più agisce per osservare l'effetto, ma combina mentalmente schemi senso-motori per poi agire ed ottenere l'effetto voluto, esegue e descrive azioni differite o oggetti non presenti nel suo campo percettivo, esegue sequenze di azioni come per esempio appoggiare un oggetto per aprire la porta; si manifesta una prima forma di imitazione differita, cioè il bambino imita comportamenti visti in precedenza (nelle fasi precedenti vi era solo imitazione immediata di gesti semplici), cominciano inoltre i primi giochi simbolici, il "fare finta di ...". Il bambino apprende il concetto di "permanenza dell'oggetto",ovvero la capacità di comprendere che gli oggetti esterni che formano il mondo,sono entità esistenti,a prescindere dalla sua consapevolezza di essi.

Fase pre-operatoria
Dai 2 ai 6-7 anni. In questa fase il bambino è in grado di usare i simboli. Un simbolo è un'entità che ne rappresenta un'altra. Un esempio è il gioco creativo nel quale il bimbo usa, per esempio, una scatola per rappresentare un tavolo, dei pezzetti di carta per rappresentare i piatti ecc. Il gioco in questa fase è appunto caratterizzato dalla decontestualizzazione (il coinvolgimento di altre persone o simulacri), dalla sostituzione di oggetti per rappresentarne altri e dalla crescente integrazione simbolica. Anche l'imitazione differita rivela la capacità di usare i simboli, come pure il linguaggio verbale usato per riferirsi a esperienze passate, anticipazioni sul futuro o persone e oggetti non presenti sul momento. Superato l'egocentrismo radicale del periodo sensomotorio, in questa fase permane però un egocentrismo intellettuale, ovvero il punto di vista delle altre persone non è differenziato dal proprio, il bambino cioè si rappresenta le cose solo dal proprio punto di vista. Per cui ad esempio spiegherà che "l'erba cresce così, quando io cado, non mi faccio male". Crede che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi pensieri; tipicamente se racconta una storia lo farà in modo che un ascoltatore che non conosce la storia non capirà nulla. Un famoso esperimento per verificare l'egocentrismo intellettuale è l'«esperimento delle tre montagne», in cui si presenta al bambino un modellino con tre montagne e gli si chiede come queste montagne vengano viste dalla bambola posta in un punto di osservazione diverso dal suo; tipicamente il bambino dirà che la scena vista dalla bambola è uguale a come la vede lui. Il ragionamento in questa fase non è né deduttivo né induttivo, ma trasduttivo o precausale, dal particolare al particolare, cioè due eventi sono considerati legati da un rapporto di causa-effetto se avvengono nello stesso tempo. Ciò si traduce in una modalità di comunicazione piena di "libere associazioni", senza alcuna connessione logica, in cui il ragionamento si sposta da un'idea all'altra rendendo pressoché impossibile una ricostruzione attendibile di eventi.

Fase delle operazioni concrete
Dai 6/7 agli 11 anni. Il termine operazioni si riferisce a operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di problemi. Il bambino in questa fase non solo utilizza i simboli ma è in grado di manipolarli in modo logico. Un'importante conquista di questo periodo è l'acquisizione del concetto di reversibilità, cioè che gli effetti di un'operazione possono essere annullati da un'operazione inversa. Fra 2 e 5 anni il bambino non classifica gli oggetti secondo una proprietà ma li distribuisce a seconda della vicinanza spaziale. A 5-6 anni inizia a raggrupparli secondo una caratteristica. Prima del salto operatorio il bambino non è in grado di distribuire in serie più di 2 oggetti, ma questa non è un'incapacità come sostiene Piaget, quanto piuttosto un limite della memoria a breve termine. Intorno ai 6/7 anni il bambino acquisisce la capacità di conservazione delle quantità numeriche, delle lunghezze e dei volumi liquidi. Per conservazione si intende la capacità di comprendere che la quantità rimane tale anche a fronte di variazioni di forma. Il bambino nella fase pre-operatoria, per esempio, è convinto che la quantità di liquido contenuto in un contenitore alto e stretto è maggiore di quella contenuta in un contenitore basso e largo (ma dotato dello stesso volume) e a nulla varranno dimostrazioni e travasi. Un bambino nella fase delle operazioni concrete è invece in grado di coordinare la percezione del cambio di forma con il giudizio ragionato che la quantità di liquido spostato è la stessa, di "conservare" quindi il volume liquido.
Intorno ai 7/8 anni il bambino sviluppa la capacità di conservare i materiali. Prendendo una palla di creta e manipolandola per trasformarla in tante palline il bambino è conscio del fatto che riunendo le palline la quantità sarà invariata. Questa capacità prende il nome di reversibilità. Intorno ai 9/10 anni è raggiunto anche l'ultimo passo della conservazione, la conservazione della superficie. Messo di fronte a dei quadrati di cartoncino si rende conto che occupano la stessa superficie sia che siano messi tutti vicini sia che siano sparsi.

Fase delle operazioni formali
Dai 12 anni in poi. Il bambino che si trova nella fase delle operazioni concrete ha delle difficoltà ad applicare le sue competenze a situazioni astratte. Se un adulto gli dice: "Non prendere in giro X perché è grasso, cosa diresti se lo facessero a te?" la sua risposta sarebbe "Io non sono grasso e nessuno mi può prendere in giro". Calarsi in una realtà diversa dalla sua è un'operazione troppo astratta.
A partire dai 12 anni il bambino riesce a formulare pensieri astratti: si tratta del cosiddetto pensiero ipotetico dove il bambino non ha bisogno di tenere l'oggetto dinanzi a se ma può ragionare in termini ipotetici.

Le idee dei bambini
Piaget ha tratto delle conclusioni a proposito di ciò che pensano i bambini. A 4 anni essi si cominciano a fare domande sull'origine delle cose. A 5/6 anni vi è una tendenza all'animismo, a 8 pensano che siano stati degli esseri antropomorfi a creare il mondo (artificialismo). A 11-12 anni i bambini definiscono esseri viventi solo piante ed animali. Il bambino è un costruttore di teorie trial'n error, fa delle generalizzazioni ed applica dei copioni e ama fare narrazioni. Appena nati i bambini riescono a riconoscere i propri simili. A 2 anni compare il desiderio, a 4 la credenza, la capacità di elaborare spiegazioni complesse dei comportamenti degli altri. A 4 anni i bambini non sono in grado di dire bugie complesse ed intenzionali, a 5 sì. Una delle grandi critiche volte a Piaget è stato di pensare che ci fosse una correlazione tra ciò che raccontavano i bambini e le loro strutture cognitive.
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Messaggio Da INFERNO Ven 04 Dic 2009, 12:14

MEDITAZIONE TAOISTA
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Fg_dossier_articoli_825
Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.
INFERNO
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Messaggio Da INFERNO Ven 04 Dic 2009, 12:18

MEDITARE
http://www.fiorigialli.it/dossier/rivista.php?id=6&articolo=1024
Guendune Rinpoche
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Big_fg_dossier_articoli_1024

Meditare non vuol dire tentare di vedere colori o forme o cercare di modellare questa o quell'esperienza. Meditazione è sgombrare, liberare la mente da tutte le forme di appiglio, di attaccamento, di intenzionalità, di caratterizzazione delle cose. Non si tratta tanto di fare qualcosa, quanto di disfare i vincoli e i legami della mente. Abbandonando l'attaccamento alle cose, basato sulla convinzione che queste abbiano una realtà oggettiva, si mollerà la presa della mente nei confronti di queste cose e dell'intenzione che vi è connessa, in modo che l'apparenza si troverà ad essere libera da sola.

Spesso si crede che meditare significhi imporre uno stato di vuoto alla mente, uno stato senza pensiero nè movimento mentale: quest'idea è sbagliata, perché se la meditazione fosse uno stato senza pensiero, questo stesso tavolo starebbe meditando! La meditazione non ha niente a che fare con il fatto di creare un vuoto volontario nella mente: meditare non vuol dire bloccare il movimento dei pensieri, ma restare in uno stato in cui questi pensieri non fanno presa. Se non ci fossero pensieri o movimento concettuale nella mente, chi mediterebbe?

Meditare è semplicemente riconoscere ciò che ci lega alle apparenze, alle manifestazioni esteriori, e mollare la presa delle fissazioni mentali. Significa creare una distensione rispetto al condizionamento abituale, e lasciare che questa distensione faccia effetto: gli oggetti su cui la mente si fissa cadono da soli, i nodi si disfano da soli. Meditare vuol dire disfarsi della corazza che ci siamo forgiati, dei vestiti superflui che indossiamo; allora, abbandoniamo a uno a uno gli abiti mentali, per restare nella nudità primordiale. In questa distensione si sperimenta lo stato naturale della mente come luce, come coscienza conoscente, come viva lucidità. Questa chiarezza della mente è definita come coscienza istantanea, immediata, uno stato esente da elaborazioni mentali o reificazione.

Semplicemente restiamo nel godimento di questo stato, lasciando la mente nella dimensione che le è propria, senza caratterizzare o giudicare nulla, senza neppure concepire la nozione di meditazione. Quando la mente riesce a mantenersi stabile in quello stato, sperimenta il proprio spazio, e tutti i fenomeni esteriori ed interiori vengono percepiti come vuoti. Questo stato non è limitato da nulla, è libero da ogni orientamento, privo di sostegno e in esso c'è la conoscenza fondamentale libera da punti di riferimento. E anche uno stato di felicità e di benessere libero da ogni impedimento concettuale. L'apparizione di queste qualità della mente è segno di successo della pacificazione mentale; lo sviluppo di questa meditazione, quando si rimane assorti in tale stato senza perderlo o alterarlo, è il conseguimento del samadhi.

È importante non giudicare la propria meditazione, non pensare che il tale stato sia «buono» e che quell'altro sia «cattivo»; che quando la mente è calma la nostra sia una «buona meditazione», mentre quando la mente è agitata la nostra sia una «cattiva meditazione». Quando, nel corso della meditazione, vengono idee del genere, si può dirigere la propria attenzione verso chi sta giudicando in questo modo, verso la coscienza che sta valutando la meditazione; con l'introspezione, questa coscienza scopre di essere priva di forma o di colore; l'osservatore è privo di qualsiasi specificità che potrebbe provare la sua esistenza. Come avevamo fatto per l'oggetto percepito, ritroviamo la dimensione vuota della mente percipiente, l'assenza di realtà del soggetto.

Dunque, quali che siano i fenomeni che sorgono nella mente si trattano cosi': non si tenta di prevenire il loro insorgere nè di farli cessare una volta che sono presenti; non vanno seguiti, ma apprezzati per quel che sono. Ogni volta che si riconosce l'essenza attraverso lo sguardo diretto, ritroviamo la dimensione della mente non ostruita, libera da ogni ostacolo. Meditare cercando qualcosa di più all'esterno porta all'insoddisfazione. Ciò che si deve fare è esattamente il processo inverso: liberarci da ciò che ingombra la mente volgendoci all'interno, fino allo stato spontaneo in cui non sussiste nè ricerca nè sofferenza: la pienezza onnipresente. La dimensione naturale della nostra mente è il Dharmakaya, che è spontaneo per natura. L'unico modo di incontrare la mente è armonizzarla con questa natura priva di cause e solo uno stato di distensione e di apertura può consentire a quest'essenza spontanea di sorgere da sé.
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ANCHE LA MUSICA CI AIUTA > ALCUNI CONSIGLI:
http://www.fiorigialli.it/musicaevideo/index.php?big=3768&id=3768
Un nuovo, eccellente album per Gabon: “Path of Devotion” è uno splendido ricamo di paesaggi sonori caratterizzati da melodie leggiadre ed impalpabili. Casa Medial propone un disco di musica creata appositamente per accompagnare pratiche terapeutiche come meditazione, yoga, reiki e rilassamento, ma anche ideale per trascorrere una tranquilla serata casalinga, magari in compagnia di qualche caro amico. “Path of Devotion”, con oltre 70 minuti di musica senza fastidiose interruzioni, trasporta l’ascoltatore in un piacevole stato di trance, attraverso il quale è più facile seguire il misterioso sentiero che conduce alla scoperta della propria interiorità.
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Big_musica_3768
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L’album proposto dalla casa Fonix è un invito a mettersi in contatto con l’essenza più profonda dell’uomo ed a canalizzare l’energia dell’universo che lo circonda. “Divine Mantras” è un doppio album di mantra selezionati ed arrangiati da Pia Skov ed con la partecipazione di Vidwan Satish Gutthi alla voce. Il mantra è un canto sacro orientale, ideale strumento per la meditazione, il rilassamento e la terapia. La forza spirituale che si sprigiona attraverso il canto del mantra è in grado di aiutare l’ascoltatore a rilassarsi, trovando la via che lo conduce ad una conoscenza più intima di sé stesso. “Divine Mantras” è inoltre dotato di un libretto contenente la traduzione in inglese dei singoli canti ed un relativo commento che aiuta l’ascoltatore a comprendere meglio la bellezza ed il misticismo di queste preghiere.
Durata:
33 min + 44 min
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Messaggio Da INFERNO Gio 10 Dic 2009, 20:23

IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Tempio
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Logo_buddhahttp://www.meditare.it/
IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Logo_buddha
http://www.meditare.it/meditazione/meditazione.htm

Senza cercare
La meditazione, comunque la s'intenda, esige sempre una sosta. Il breve bivacco sarà soprattutto interiore. La ricerca si placa, il suo fervore s'attenua. Naturalmente, stare senza cercare, dovrà accadere spontaneamente. Il Buddha Gautama Siddharta si "risvegliò" quando giunse alla conclusione che ogni sforzo ascetico sin lì compiuto era stato relativamente vano. Anzi proprio lo sforzo diventava l'ostacolo principale. Per questo intraprese e privilegiò la "Via di Mezzo". La "Via dell'Equilibrio" in cui la mente, che è tendenzialmente estremista, si rasserena da sé.

http://www.meditare.it/meditazione/anapanasati.htm
Meditazione nel web » Meditazione » Anapanasati (cenni)

Noi siamo sia il cielo terso che le sue nuvole.

Dentro di te, una prima certezza, la mente, ed una sua facoltà, l'attenzione, che osserva i pensieri, interni, esterni, ecc.

Le tue deduzioni dipendono forse dal fatto che avendo iniziato ad osservarti vedi emergere e proietti all'esterno una moltitudine d'idee, concetti che al momento ti sembrano tutti validi, e non è detto che non lo siano, ma dipendono da una personalità, la tua come la mia, frammentata, divisa.

Alcuni frammenti di questa personalità cercherebbero di affermarsi sugli altri per tentare di creare un ordine che tuttavia sarebbe comunque artificioso.

Il buddismo insegna che un buon modo per creare delle condizioni accettabili e corrispondenti ad una disposizione spirituale di sano, soddisfacente e vantaggioso benessere è la chiarezza. Altre religioni presuppongono innanzitutto la fede, ma ora ci occuperemo essenzialmente di evidenza.


Cenni su Anapanasati

Anapana-sati: questa tecnica orienta la mente avida e ambiziosa, la mente che pretende e concupisce, dal passato o dal futuro al presente. E la verità è nel presente. L'essere qui e ora è verità. Anapana-sati è una tecnica per abituarsi a rimanere soli con se stessi.

La meditazione non è un qualcosa che si possa "fare", bensì favorire. Si possono solo creare le condizioni affinché essa "accada". Infatti, quando essa, la meditazione, è presente, non v'è più nessuno che possa confermarlo: il soggetto, cioè colui che medita, è divenuto tutt'uno con la sua esperienza. Ha trasceso i propri limiti. Non ha più bisogno di osservare analiticamente i dettagli di un evento. Ne percepisce una sintesi? Diciamo che ne intuisce l'essenza. La sua esistenza non è più separata, e nemmeno contigua, ma in simbiosi con tutto ciò su cui si sofferma. Al di là di forme, colori, suoni, dettagli, ne diventa la coscienza medesima.

Siccome il nostro obiettivo principale è quello di far chiarezza, riportiamo subito qualche cenno sulle tecniche avvalendoci come esempio dell'esercizio Anapana-sati, cioè l'attenzione sulla respirazione. Un esercizio di attenzione vigile e rilassata che comporta osservazione.

In genere l'attenzione non è un atto neutro, è partecipazione e si focalizza su un solo elemento per volta. Durante le prime fasi di applicazione l'attenzione è orientata costantemente in una direzione specifica, il flusso spontaneo del respiro. Non si tratta, beninteso, di concentrazione, ma di un'osservazione equanime ed imparziale. Ondeggiamenti e oscillazioni dell'attenzione sono sempre in grado di distoglierci, ma in tal caso si suggerisce di osservare la causa stessa della distrazione. Potrebbe trattarsi di un banale fastidio, oppure di un insignificante pensiero che pur senza essere stato formulato coscientemente interferisce con l'intento iniziale, cui si dovrà comunque ritornare non appena divenuti coscienti della sopravvenuta disattenzione.

Alfine di coordinare meglio l'attenzione, taluni insegnanti consigliano di non seguire esattamente il flusso del respiro durante tutto il suo percorso all'interno del proprio corpo, ma di limitarsi ad osservarne il punto di contatto in una zona specifica, ad esempio le narici. Oppure di osservare espansione e contrazione dell'addome.

Successivamente, con il tempo ed il prosieguo della pratica, accadrà di superare sempre di più la sola percezione meccanica del passaggio dell'aria, ovvero dei muscoli che si contraggono e rilassano, per divenire consapevoli del respiro in sé, delle sue qualità intrinseche.

Gli effetti più significativi dell'osservazione del respiro sono nell'ordine, calma progressiva del suo ritmo, cui seguirà un rallentamento dell'attività mentale, una padronanza della mente tale da consentire una versatile presenza di spirito.


Riepilogo

In ogni modo, al di là dei diversi suggerimenti o approcci, i nodi principali sono due. Cogliere il ritmo del respiro, ma senza controllarlo. Tentare di divenire consapevoli della sensazione che il respiro produce. L'oggetto primario di attenzione continuativa, quello prevalente, potrebbe diventare proprio questo: la sensazione che il respiro determina.

Assumere una posizione consona, seduti, uno sgabello senza spalliera va anche bene, e spina dorsale eretta.

Moderazione ed equilibrio, quindi anche nel ritaglio di tempo da dedicare eventualmente all'esercizio. Taluni insegnanti suggeriscono che dapprincipio pochi minuti siano più che sufficienti. Dopo di che ciascuno dovrebbe rendersi conto delle proprie necessità. Le nostre osservazioni sono solo descrittive, per cui è preferibile discuterne direttamente con un insegnante. (noi non ne indichiamo).

Tuttavia è utile sottolineare alcuni tra i più importanti particolari.

Considera il respiro (agitato) come le increspature superficiali di un laghetto (la tua mente) investito dal vento (dei pensieri estranei). Contestualmente al placarsi delle onde anche la tua mente diventa più distesa.

Dapprincipio osserva con distacco, non partecipare all'evento.

Applicati solo se l'esercizio in questione ti apporta giovamento. Altrimenti abbandonalo subito. Se ti senti comunque attratto dalla meditazione esistono numerose altre possibilità.

Ciò che viene spesso dimenticato: la vita è comunque un gioco tra gli opposti; non pretendere di rilassarti sempre e comunque; è proprio l'alternanza che ti consente di esprimerti; l'interno e l'esterno sono solo parvenze, indispensabili, ma solo apparenze.

Si potrebbe dire, con licenza poetica, che l'essenza ti cerchi già, forse è il suo unico scopo, in questo luogo ed in siffatto identico momento ci sei tu, la tua identità primeva, e un'incommensurabile energia pronta ad elargire ... Genuinità, purezza, un qualunque genere di massimo bene? Non saprei, generalizzare sarebbe eccessivo, perché dipende dalle prerogative implicite di ciascuno. Ma una cosa è probabile. Avrai la certezza che la bontà premia sempre. Nello stesso modo in cui quella conoscenza dissolverà ogni paura saprai che il tuo amore ed i tuoi affaccendamenti non termineranno mai ...


Conclusioni

Anche se ci siamo dilungati sarà giusto non considerare tali appunti come vere e proprie istruzioni, cui si rimanda a libri e articoli più appropriati, bensì come semplici descrizioni informative.
salius


Quando una persona si esercita nella concentrazione sul respiro, diventa molto tranquilla, lucida di mente e di corpo. Dopo essersi esercitata per un determinato periodo, può venire il momento in cui si rende conto che questo corpo, apparentemente solido, è sostenuto solo dal respiro e che perisce quando il respiro cessa. Allora realizza pienamente l'impermanenza. Laddove c'è un cambiamento, non può esserci un sé permanente o un'anima immortale.
Anapanasati Sutta
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Messaggio Da INFERNO Gio 10 Dic 2009, 20:47

http://www.lameditazionecomevia.it/impermanenza.htm
http://www.atala.dhamma.org/anicca.htm

La realtà dell'impermanenza

a cura del Vipassana Research Institute



Ogni cosa esistente è impermanente.
Quando si comincia a osservare ciò,
con comprensione profonda e diretta esperienza,
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione.
Dhammapada, XX (277)

Per spiegare in maniera più ampia e dettagliata l'importante concetto di anicca, l'impermanenza, proponiamo questo articolo redatto dal Vipassana Research Institute.

Anicca, l'impermanenza

Il cambiamento è inerente a ogni esistenza fenomenica. Non vi è nulla nel campo animato o inanimato, organico o inorganico che possiamo definire permanente, e anche se dessimo questa denominazione a qualcosa, inevitabilmente essa sarebbe desinata a cambiare, a sottoposi a qualche metamorfosi. Avendo compreso questo fatto fondamentale attraverso l'esperienza diretta all'interno di se stesso, il Buddha dichiarò:

Sia che nel mondo ci sia o no una persona completamente illuminata, tuttavia rimane una condizione ferma, un fatto immutabile e una legge fissata: tutte le formazioni fisiche e mentali sono impermanenti, soggette alla sofferenza e prive di sostanza.

Anicca (impermanenza), Dukkha (sofferenza) e Anatta (inconsistenza dell'io) sono le tre caratteristiche comuni ad ogni esistenza cosciente. Tra queste, la più importante nella pratica di Vipassana è anicca. Come meditatori ci troviamo ad affrontare l'impermanenza di noi stessi. Ciò ci permette di comprendere che non abbiamo alcun controllo su questo fenomeno, e che ogni tentativo di manipolarlo non ci crea altro che sofferenza. Impariamo quindi a sviluppare il distacco e l'accettazione di questo fatto, l'apertura al cambiamento, permettendoci così di vivere felicemente tra le vicissitudini della vita. Perciò il Buddha disse:

Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si manifesta chiaramente la percezione della inconsistenza e mancanza di un io. E in chi percepisce questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha, chiunque realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla sofferenza.

Data la cruciale importanza di anicca non sorprende che il Buddha ne sottolineasse ripetutamente l'importante significato per coloro che cercano la liberazione. Nel Maha-Satjpatthana Suttanta, il testo principale in cui viene spiegata la meditazione Vipassana, egli descrisse i differenti stadi della pratica, che devono in ogni caso condurre alla seguente esperienza:

Il meditatore si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere... si sofferma ad osservare il fenomeno del passare... si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere e passare.

Dobbiamo saper riconoscere il fatto dell'impermanenza non solamente nel suo aspetto facilmente riconoscibile, intorno e all'interno di noi stessi. Oltre a ciò, dobbiamo imparare a vedere la realtà sottile che noi stessi stiamo cambiando ogni momento, che l'io di cui siamo così infatuati è un fenomeno in flusso costante, in continuo cambiamento. Con questa esperienza possiamo facilmente emergere dall'egoismo e così dalla sofferenza. In altre circostanze il Buddha disse:

L'occhio, o meditatori, è impermanente. E ciò che è impermanente è insoddisfacente. Ciò che è insoddisfacente è senza sostanza. E ciò che è senza sostanza non è "mio", non è "io", non è "me stesso". Ecco come osservare l'occhio con saggezza, come è realmente.

La stessa cosa si ripete per l'orecchio, il naso, la lingua, il corpo, per tutte le basi dell'esperienza sensoriale, per ogni aspetto dell'essere umano. Il Buddha così continuò:

Vedendo ciò, o meditatori, il meditatore bene istruito ne ha abbastanza dell'occhio, dell'orecchio, del naso, della lingua, del corpo, e della mente. Essendo ormai sazio non prova più la passione per essi. Essendo senza passione per questi sensi, si sente libero. In questa libertà nasce la comprensione di essere liberato.

In questo passaggio il Buddha fa una netta distinzione tra il conoscere per sentito dire e la personale comprensione dovuta all'esperienza diretta. Si possono ascoltare numerosi discorsi e accettarli per fede o anche intellettualmente. Comunque questa accettazione è insufficiente per liberarci dal ciclo della sofferenza. Per ottenere la liberazione ognuno deve vedere e sperimentare la verità da solo, all'interno di se stesso. Ecco ciò che Vipassana ci permette di fare.

Se vogliamo capire l'eccezionale contributo del Buddha, dobbiamo mantenere questa distinzione bene in mente. Le verità di cui egli parlava erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell'India dei suoi tempi. Egli non inventò i concetti dell'impermanenza, della sofferenza e dell'inconsistenza dell'io. La sua unicità e peculiarità consiste nell'aver trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità. Un testo in cui ritroviamo l'attenzione per questo particolare aspetto dell'insegnamento del Buddha è il Bahiya Sutta, che si trova nel gruppo di discorsi del Samyutta Nikaya. In esso viene descritto l'incontro del Buddha con Bahiya, un ricercatore del cammino spirituale. Nonostante non fosse un discepolo del Buddha, Bahiya gli chiese di essergli da guida per la sua ricerca. I1 Buddha rispose ponendogli delle domande:

Che cosa ne pensi, Bahiya: è l'occhio permanente o impermanente?
Impermanente, signore.
E ciò che è impermanente è causa di sofferenza o di felicità?
Di sofferenza, signore.
Ora, ti sembra giusto considerare ciò che è impermanente, causa di sofferenza e per natura mutevole, come "mio", "io"," me stesso"?
Certamente no, signore.

Il Buddha continuò a fare le stesse domande a Bahiya sugli oggetti della vista, la coscienza dell'occhio e il contatto dell'occhio. L'uomo era sempre d'accordo: essi sono impermanenti, insoddisfacenti, senza un "io". Non si dichiarava un seguace dell'insegnamento del Buddha, e tuttavia accettava la realtà di anicca, dukkha, e anatta. Naturalmente la spiegazione è che per Bahiya e altri come lui, i concetti dell'impermanenza, della sofferenza e della inconsistenza dell'io erano semplicemente delle opinioni. A queste persone il Buddha mostrò una via per andare al di là di credenze e filosofie, e fare esperienza diretta della loro natura come impermanente, come sofferente e senza un Io. In che cosa consiste quindi questa via che egli ha mostrato ? Nel Brahamajala Suttanta, un altro discorso, il Buddha offre una risposta. Fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo tempo, e quindi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:

Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse, il pericolo insito in esse e il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o meditatori, è diventato distaccato e liberato.

Qui il Buddha molto semplicemente dichiara che è diventato illuminato osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. E invita chiunque voglia seguire l'insegnamento del Buddha a fare altrettanto. L'impermanenza è il fatto centrale che dobbiamo comprendere per uscire dalla nostra sofferenza; e la via immediata per fare esperienza dell'impermanenza è osservare le nostre sensazioni fisiche, corporee. Di nuovo il Buddha disse:

Ci sono tre tipi di sensazioni, o meditatori, e tutte sono impermanenti, composte, e sorgono per una causa, destinate a non durare, e per natura a passare, scomparire, cessare.

Le sensazioni all'interno di noi stessi sono la più palpabile espressione della caratteristica di anicca, l'impermanenza. Osservandole, diventiamo capaci di accettare questa realtà, non solamente per fede o per convinzione intellettuale, ma per nostra esperienza diretta. In questo modo progrediamo dall'ascoltare solamente la verità allo sperimentarla all'interno di noi stessi. E la verità, quando la incontriamo faccia a faccia, è destinata a trasformarci radicalmente. Così il Buddha disse:

Quando un meditatore resta consapevole con corretta comprensione, diligente, ardente, e con pieno autocontrollo, quando piacevoli sensazioni fisiche sorgono nel suo corpo, egli allora comprende che è sorta questa piacevole sensazione corporea, ma è dipendente da una causa, non è indipendente. Dipendente da cosa? Da questo corpo. Ma questo corpo è impermanente, composto, condizionato. Ora, come potrebbero queste piacevoli sensazioni fisiche essere permanenti dal momento che dipendono da questo corpo composto e impermanente, e che è esso stesso condizionato?

Il meditatore fa esperienza dell'impermanenza delle sensazioni nel corpo, del loro sorgere, del loro passare, del loro cessare, e quindi del diminuire dell'attaccamento a esse. Mentre fa ciò, il suo sotterraneo condizionamento di bramosia viene abbandonato. Allo stesso modo, quando prova sensazioni spiacevoli nel corpo, viene abbandonato il suo sotterraneo condizionamento di avversione; e quando fa esperienza di sensazioni neutre nel corpo, viene abbandonato il suo sotterraneo condizionamento di ignoranza. In questo modo, osservando l'impermanenza delle sensazioni corporee, un meditatore si avvicina sempre più alla meta dello stadio incondizionato del nibbana, al di là delle esperienze sensoriali. Dopo aver raggiunto quella meta, Kondañña, la prima persona che divenne liberata attraverso l'insegnamento del Buddha, dichiarò:

Ogni cosa che ha la natura del sorgere ha anche la natura del cessare.

Solamente facendo esperienza in modo totale della realtà di anicca fu capace di fare esperienza di una realtà che non sorge e non passa. La sua dichiarazione è un chiaro segnale sul cammino ai futuri ricercatori della verità, indica la via che essi devono seguire per raggiungere la meta. Al termine della sua vita il Buddha dichiarò:

Ogni cosa esistente è impermanente.

Nei suoi ultimi momenti volle riproporre il grande tema di cui aveva parlato così spesso durante i suoi anni di insegnamento. E poi aggiunse:

Sforzatevi diligentemente.

Ma per quale scopo, ci dobbiamo chiedere, dobbiamo sforzarci? Sicuramente queste parole, le ultime dette dal Buddha, non possono che riferirsi alla frase precedente. Il prezioso messaggio del Buddha al mondo è la comprensione di anicca, la comprensione per esperienza diretta dell'impermanenza di ogni fenomeno fisico e mentale, come strumento per la liberazione. Dobbiamo sforzarci di raggiungere l'impermanenza all'interno di noi stessi; solo facendo ciò si potrà dire di aver compreso la sua ultima esortazione e il suo insegnamento.
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Messaggio Da INFERNO Gio 10 Dic 2009, 20:54

http://it.wikipedia.org/wiki/Du%E1%B8%A5kha
Duḥkha (sanscrito, dukkha, pāli), sofferenza, etimologicamente: "difficile da sopportare", da du = difficile e kha = sopportare.
È, come disse il Buddha Śākyamuni in occasione del suo primo discorso, la condizione di sofferenza che accomuna tutti gli esseri senzienti (esseri infernali, spiriti famelici (preta, sans., peta, pāli, yidak, tib.), animali, uomini, déi invidiosi (aśura, sans., asura, pāli, lha ma yin, tib.) e divinità (deva, sans. e pāli, lha, tib.) e inerente a tutti gli stati di dell'esistenza ciclica. Insieme al concetto di non-anima o non-Io o non-sé (anatman, sans., anattā, pāli), dell'impermanenza (anitya, sans., anicca, pāli, mitagpa, tib.) e altre, dukkha è dunque una delle caratteristiche principali degli esseri del saṃsāra.
La sofferenza è immancabile nel saṃsāra e, a causa del karma, delle "Sei afflizioni mentali" (malevolenza, bramosia, visioni errate, gelosia, avidità, orgoglio), delle impronte sottili abituali (sans.: vaśana, tib.: bhak chak) e ignoranza fondamentale (avidya, sans., avijjā, pāli, marigpa, tib.) che è la vera radice del saṃsāra si sperimentano le "Quattro sofferenze principali" degli esseri umani: nascita, vecchiaia, malattia e morte, nonché le "Quattro sofferenze secondarie" che sono: ottenere quello che non si desidera; non ottenere quello che si desidera; non riuscire a mantenere quello che si ha; ... ()...
Tutte le sofferenze deli esseri nel saṃsāra si possono riassumere in tre categorie:
- la "sofferenza onnipervadente", inerente ai cinque aggregati contaminati della persona (samsarica);
- la "sofferenza-della-sofferenza", lo sperimentare sulla base dei "cinque aggregati" della persona si sperimentano malattie, colpi, mutilazioni, disperazione, ...
- la "sofferenza del cambiamento", dovuta al fatto che inevitabilmente alla giovinezza segue la vecchiaia, alla salute la malattia, alla nascita la morte, alla sazietà la fame, al benessere il malessere, al riposo il bisogno di dormire, al caldo il freddo, alle comodità le fatiche, l'incertezza che, una volta ottenuto un oggetto di un nostro desiderio, lo si possa perdere (ad es. il lavoro, il marito o la moglie, la salute, ...).
Ci sono anche gli aspetti sottili della sofferenza del cambiamento come l'aspetto dell'impermanenza sottile (quindi non quella grossolana del tipo una tazza intatta che si rompe).

Citazioni canoniche

Da: 3 - Dukkha sutta, "il Discorso su dukkha", Nidāna Saṃyutta, del Saṃyutta Nikāya
« 43 Il bhagavā[2] stava a Sāvatthī [...] [e disse]: "Bhikkhu, vi insegnerò sul sorgere di dhukkha come pure sulla scomparsa di dhukkha. Ascoltate, prestate la piena attenzione alle mie parole, io parlerò". "Molto bene, venerabile", risposero i bhikkhu. E il bhagavā diede il suo insegnamento:
Che cosa, o bhikkhu, è il sorgere di dhukkha? Dipendente dall'occhio e dagli oggetti visibili sorge la coscienza oculare; con l'incontrarsi di questi tre [fattori, ossia l'occhio, gli oggetti e la coscienza, NdT] sorge il contatto. Dipendente dal contatto sorge la sensazione; dipendente dalla sensazione sorge la brama. Questa, o bhikkhu, è l'origine di dhukkha.

Dipendente dall'orecchio e dal suono sorge la coscienza acustica; [...] Dipendente dal naso e dall'odore sorge la coscienza olfattiva; [...] Dipendente dalla lingua e dal gusto [...] Dipendente dal corpo e dagli oggetti tangibili [...] Dipendente dalla mente e dagli oggetti della cognizione sorge la coscienza mentale; con l'incontrarsi di questi tre sorge il contatto, dipendente dal contatto sorge la sensazione; dipendente dalla sensazione sorge la brama. Questa, o bhikkhu, è l'origine di dhukkha.

Che cosa, o bhikkhu, è la scomparsa di dhukkha? [...] Dipendente dall'occhio e dagli oggetti visibili sorge la coscienza oculare; con l'incontrarsi di questi tre sorge il contatto; dipendente dal contatto sorge la sensazione; dipendente dalla sensazione sorge la brama. Solo con la completa cessazione di questa brama tramite il sentiero dell'arahat cessa l'attaccamento; con la cessazione dell'attaccamento cessa bhava [il divenire, NdT], con la cessazione di bhava cessa la rinascita; con la cessazione dela rinascita cessa l'invecchiare-e-il-morire; e (quindi) la pena, il lamento, il dolore corporeo, lo sconvolgimento della mente e l'agonia cessano. In questa maniera avviene la cessazione di tutta questa massa di dhukkha. Questa, o bhikkhu, è la cessazione di dhukkha.

Dipendente dall'orecchio e dal suono sorge la coscienza acustica; [...] Dipendente dal naso e dall'odore [...] Dipendente dalla lingua e dal gusto [...] Dipendente dal corpo e dagli oggetti tangibili [...] Dipendente dalla mente e dagli oggetti della cognizione sorge la coscienza mentale; con l'incontrarsi di questi tre sorge il contatto. Dipendente dal contatto sorge la sensazione; dipendente dalla sensazione sorge la brama. Solo con la completa cessazione di questa brama tramite il sentiero dell'arahat cessa l'attaccamento, cessa bhava; con la cessazione di bhava cessa la rinascita; cessa l'invecchiare-e-il-morire; e (quindi) la pena, il lamento, il dolore corporeo, lo sconvolgimento della mente e l'agonia cessano. In questa maniera avviene la cessazione di tutta questa massa di dhukkha. Questa, o bhikkhu, è la cessazione di dhukkha. »
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Messaggio Da INFERNO Gio 10 Dic 2009, 21:04

http://www.bioenergetic.it/modules.php?name=News&file=article&sid=18

Approccio meditativo buddhista e approccio psicoterapeutico

La Meditazione come Via
Dizionarietto:
Saṃsāra · Nirvāṇa
Skandha · cosmologia
Karma · rinascita
Smarana · precetti · Pāramitās
Dall'inizio delle scritture buddiste, la parola Arahant si riferisce ad un illuminato
Zazen · http://it.wikipedia.org/wiki/Zazen Sūtra del sedersi nel dhyāna o insegnamento del sedersi nella meditazione
Vipassana · "vedere le cose in profondità, come realmente sono" http://www.atala.dhamma.org/pub/index.htm
La tecnica di Vipassana
Come insegnata da S.N. Goenka nella tradizione di Sayagyi U Ba Khin

Vipassana (che nell'antica lingua indiana Pali significa "vedere le cose in profondità, come realmente sono") è una delle più antiche tecniche di meditazione dell'India. Fu infatti riscoperta e insegnata da Siddhatta Gotama il Buddha più di 2500 anni fa come metodo universale per uscire da ogni tipo di sofferenza.
Vipassana è una tecnica pratica di auto-osservazione, un metodo scientifico che porta alla graduale purificazione della mente.

E' una tecnica universale, praticabile da tutti, definita da S.N. Goenka un'Arte di Vivere.

La tecnica, secondo la tradizione di Sayagyi U Ba Khin (alto funzionario del governo birmano e maestro di meditazione, 1899-1971) e del suo discepolo S.N. Goenka, viene insegnata durante un corso residenziale di 10 giorni sotto la guida di un insegnante esperto che ha ricevuto una specifica formazione.
Durante il corso lo studente impara a sviluppare la concentrazione della mente, che diventa più attenta e penetrante, pronta per essere utilizzata come strumento per esaminare accuratamente la propria natura fisica e mentale. Con questa pratica si raggiunge una capacità di introspezione così profonda da permettere di liberarsi gradualmente da tensioni mentali, condizionamenti, paure, illusioni.
Lo studente impara in questo modo un'arte di vivere, con la quale cominciare a sviluppare le qualità positive naturali della mente: amore, compassione, gioia, equanimità. Un corso di dieci giorni gli fornirà un allenamento mentale di profondo valore pratico nella vita quotidiana.

Tutti i corsi, in Italia e nel mondo, sono liberi da costi di partecipazione per evitare che gli aspetti commerciali interferiscano con la tecnica e per dare a tutti, indipendentemente dalla situazione economica, la possibilità di trarre beneficio da quest'arte di vivere. Secondo la tradizione di questo insegnamento i corsi vengono organizzati sulla base di libere offerte, accettate unicamente da parte di meditatori che hanno portato a termine almeno un corso.

Questo insegnamento, non caratterizzato da connotazioni religiose, è aperto a tutti, senza distinzione di religione, professione o credo filosofico, in quanto si basa sul principio che la sofferenza e le sue cause sono universali: nello stesso modo, la via per uscirne deve essere universale, accessibile a tutti.

Da quando S.N. Goenka ha lasciato la Birmania nel 1969, per iniziare ad insegnare la meditazione Vipassana in India e, dopo qualche anno, anche nei paesi occidentali, questa tecnica si è diffusa rapidamente in tutto il mondo. Ora in molti paesi esistono strutture e centri permanenti dove si tengono periodicamente corsi di meditazione. Anche in Italia è stato aperto un centro dove si svolgono questi corsi di 10 giorni.

Vipassana e Zazen
L’approccio meditativo classico e l’approccio psicoterapeutico differiscono significativamente rispetto a SCOPI, AREE DI ESPERIENZA, e TECNICHE (Russell,1986). Dato che queste differenze fra i due approcci si fondano su differenti concetti di sofferenza, psicopatologia, salute mentale, coscienza, identità e motivazione, lo scopo di questo capitolo sarà appunto quello di esaminarli nella prospettiva di giungere ad un modello di integrazione tra l’approccio psicoterapeutico e l’approccio meditativo.

2.1 Differenze tra l’approccio meditativo buddhista e l’approccio psicoterapeutico

L’approccio meditativo classico e l’approccio psicoterapeutico differiscono significativamente rispetto a SCOPI, AREE DI ESPERIENZA, e TECNICHE (Russell,1986). Dato che queste differenze fra i due approcci si fondano su differenti concetti di sofferenza, psicopatologia, salute mentale, coscienza, identità e motivazione, lo scopo di questo capitolo sarà appunto quello di esaminarli nella prospettiva di giungere ad un modello di integrazione tra l’approccio psicoterapeutico e l’approccio meditativo.

2.1.1 Differenze di scopi

E’ sostenuto da molti autori che la meditazione non può essere intesa come una psicoterapia nel senso occidentale del termine, cioè come un metodo per alleviare la sofferenza psicopatologica (Russell, 1986). Questo può essere illustrato nel caso della pratica buddhista. La dottrina fondamentale del Buddhismo viene espressa nelle 4 Nobili Verità che rappresenta l’approccio terapeutico alla sofferenza di Buddha, che afferma:
1) Che la SOFFERENZA (DUKKHA) esiste in tutti gli aspetti della vita;
2) Che la CAUSA DELLA SOFFERENZA è l’”ignoranza” (non conoscenza) che porta all’identificazione con un’Io, all’attaccamento verso ciò che è piacevole e all’avversione verso ciò che è spiacevole;
3) Che è possibile la CESSAZIONE DELLA SOFFERENZA che ha il suo culmine nel NIRVANA;
4) Che la VIA CHE CONDUCE ALLA CESSAZIONE DELLA SOFFERENZA è l’OTTUPLICE SENTIERO (retta visione, retto proposito, retto discorso, retta azione, retto modo di vita, retto sforzo, retta presenza mentale, retta concentrazione).
Ora, il concetto di DUKKHA non è equiparabile al concetto di “sofferenza psicopatologica”, in quanto il DUKKHA include non solo stati acuti e manifesti di sofferenza fisica e mentale, ma anche qualsiasi stato di disagio, insoddisfazione, ansia e malessere (A. Solè-Leris, 1988),ciò che noi possiamo definire come disagio psicologico. In altre parole, per DUKKHA si intende la sofferenza esistenziale.
Nelle parole di Buddha:
<< La nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la morte è sofferenza; tristezza, lamenti, dolore fisico e mentale, angoscia sono sofferenze; la separazione da ciò che piace è sofferenza; non poter avere ciò che si desidera è sofferenza >> .
Lo scopo meditativo della CESSAZIONE DELLA SOFFERENZA (3°Nobile Verità) non passa attraverso l’esplorazione dell’inconscio quanto attingendo a stati alterati di coscienza, il cui stato più alto viene definito NIRVANA nel Buddhismo Theravada.
Entrare nello stato nirvanico è il; le modificazioni comportamentali conseguenti sono la; con il raggiungimento della liberazione il meditante è un; tutto questo è un essere illuminato (Goleman,1982). I tratti della personalità dell’Arahant descritti nella letteratura dell’Abhidharma buddhista esprimono un tipo ideale di persona (Goleman,1981). Il tipo ideale è libero dall’identità socialmente condizionata, è privo di egocentrismo e non c’è più traccia di un Sè; il passato come determinante il comportamento è stato cancellato, ed egli è ormai libero dai condizionamenti delle vecchie abitudini; è privo di egoismo, dei bisogni di approvazione, da ansietà e risentimenti; e le sue motivazioni sono assolutamente pure: la benevolenza, la gioia altruistica, la compassione e l’equanimità diventano le nuove forme motivanti; è aperto verso gli altri e responsivo ai loro bisogni; possiede una percezione finissima nella meditazione di consapevolezza: osserva con distacco i più minuziosi processi mentali (Goleman,1976,1982).
Goleman (1981) sostiene che questo modello radicale di persona è importante nella psicologia occidentale per la sua assenza; é importante che venga sostenuta questa possibilità realizzativa. Il modello di persona che si adatta di più alle caratteristiche dell’Arahant è la persona “autorealizzante” di Maslow. La persona autorealizzata ha una chiara percezione della realtà, mostra spontaneità, compassione, distacco (nel senso di autonomia, non possessività, non invadenza), indipendenza dalle lusinghe o dalle critiche (Goleman,1981).
Nelle tradizioni meditative l’ideale di salute mentale viene riconosciuto proprio nell’Arahant e quindi nell’illuminazione o liberazione piuttosto che soltanto nell’adattamento dell’Io, nel compromesso con i dati psicodinamici od esistenziali, o nella congruenza tra Sè organismico (o Reale) e Sè ideale, meta queste ultime delle psicoterapie(Walsh,1988).
Goleman (1972) dice che il Visuddhimagga buddhista afferma che negli stati finali della meditazione l’Arahant: “...è assolutamente libero dalla sofferenza”, tuttavia lo stato Arahant è estremamente difficile da ottenere (Goleman,1982). Quindi suggerisce che per la persona ordinaria la meditazione potrebbe promettere poco aiuto per risolvere i problemi emotivi.
Walsh (1988) ritiene che il focus delle psicologie buddhiste e induiste è sui livelli esistenziali e transpersonali e, come Engler (1989), sostiene che esse hanno poco da offrire per quanto riguarda la psicopatologia grave e che tendono a considerarla semplicemente come un’esacerbazione della “psicopatologia della vita quotidiana”. Piuttosto il loro focus è molto più sulla “patologia normale”, ed essi tendono a concordare con Maslow (1971) che:
<< ciò che noi chiamiamo normale in psicologia è in realtà una psicopatologia della media così ampiamente diffusa che noi non la notiamo neppure >> .
Solitamente si dice che l’origine di questa patologia (2° Nobile Verità) include l’ “ignoranza” (attaccamento, avversione). L’“ignoranza” quì si riferisce alla incomprensione della psiche e della sua vera natura. Se vengono fraintese la propria mente e la sua vera natura allora il concetto del proprio Sè deve essere necessariamente errato e da ciò si dice derivino le convinzioni costruite mentalmente e i comportamenti che inducono la patologia (cioè l’attaccamento e l’avversione). La mente governata dall’attaccamento e dall’avversione è schiava di ogni situazione e dell’ambiente ed è costantemente coinvolta in una ricerca senza fine per ottenere ciò che desidera (il piacevole) ed evitare ciò che è penoso (lo spiacevole). Da ciò ne deriva l’umana infelicità e patologia esistenziale.
Perciò lo scopo della pratica meditativa è TRASCENDERE L’IO o detto in altro modo l’espansione dell’Io a livelli transpersonali (Venturini,1993).
Per “transpersonale” si intende ciò che sta al di là della “persona”, nel senso di personalità condizionata e individuale (Boggio Gilot).
In questo senso, se i problemi personali sono definiti nei termini degli scopi dei sistemi meditativi, quali la trascendenza dell’Io, allora la meditazione potrebbe essere efficace. Tuttavia per le sindromi psicologiche e i sintomi, ordinariamente trattati dalle psicoterapie, la meditazione non sembra essere una cura specifica (Russell,1986).
L’utilità clinica della meditazione deve essere vista più nei termini di prervenire ad un modello psicologico generale di stati mentali positivi piuttosto che come trattamento per specifici problemi psicologici (Goleman,1976).
In genere mentre le psicoterapie occidentali partono dagli stati pre-egoici per finire all’Io, le tradizioni meditative partono dall’Io per giungere al suo trascendimento.
Ciò significa che tra psicoterapia e meditazione può essere vista una complementarietà, almeno nel senso che si occupano in prevalenza di due stadi diversi dello sviluppo della coscienza: l’uno che porta all’Io, l’altro che porta al di là dell’Io (Wilber,1986); l’uno che porta sollievo prevalentemente dalla sofferenza psicopatologica, l’altro prevalentemente dalla sofferenza normale.
Anche Welwood esprime lo stesso punto di vista di Wilber affermando che lo scopo della psicoterapia è l’auto-integrazione, mentre lo scopo della meditazione è l’auto-trascendenza (Welwood,1980). Ciò presuppone che chi intraprende un cammino meditativo deve essere una persona piuttosto ben integrata psicologicamente. Infatti, la meditazione può persino aggravare alcune psicopatologie (Engler,1989; Epstein,1996; Lieff,1989; Lazarus,1976; Walsh,1979).
Walsh ha colto che anche le tradizioni meditative asiatiche tendono a vedere le motivazioni come gerarchicamente organizzate in maniera analoga ai modelli suggeriti da Maslow e Wilber. Quando i bisogni di base vengono appagati allora ne emergono altri di ordine più elevato come elementi motivanti, per giungere alle spinte all’autoattualizzazione e alle spinte verso l’autotrascendenza. L’autotrascendenza stando al di là persino dell’autoattualizzazione era la motivazione più alta riconosciuta da Maslow ma alcune psicologie asiatiche sostengono che una motivazione umana di ordine ancora superiore potrebbe essere il servizio altruistico. Nelle teorie motivazionali occidentali, Freud ha considerato tutte le motivazioni di ordine superiore come una sorta di distorsioni e perciò riconducibili alla libido, al contrario Rogers ha riconosciuto come unica spinta fondamentale nell’uomo la “tendenza attualizzante” avvicinandosi alle teorie motivazionali elevazioniste orientali (Walsh,1988).

2.1.2 Differenze esperienziali

La psicoterapia e la meditazione possono considerarsi, per alcuni aspetti, come interessati a dimensioni diverse della coscienza.
Bisogna fare la distinzione tra coscienza e contenuto della coscienza. Il contenuto della coscienza è costituito da ricordi, immagini, sentimenti, emozioni . Noi ne siamo consapevoli. I contenuti che non fanno parte della coscienza sono i contenuti inconsci.
Le tradizioni meditative riconoscono un ampio spettro di stati di coscienza e forniscono delle descrizioni dettagliate della fenomenologia, degli effetti sulla personalità (Walsh,1988).
La coscienza la possiamo vedere come ordinata in una gerarchia di stati di coscienza, nella quale il più alto stato e il più inclusivo è uno stato di “coscienza puro”. Uno stato di coscienza puro senza contenuto. Sebbene possano esserci anche livelli all’interno della “coscienza pura”, nessuno di questi contiene contenuto (Goleman,1977).
Le psicoterapie occidentali tentano di portare il materiale inconscio nella coscienza dove tale materiale viene esplorato, analizzato, interpretato o espresso. Quando tali metodi hanno successo quel materiale diventa parte del preconscio.
Walsh (1988) scrive che la rivendicazione delle tradizioni meditative è che il nostro stato di coscienza ordinario è uno stato subottimale, che viene descritto come simile ad uno stato ipnotico o di sogno se confrontato con la “coscienza pura” che viene considerata come lo stato ottimale.
Il risultato del nostro stato di coscienza ordinario discreto è una percezione della realtà filtrata e condizionata dalle nostre strutture mentali (Tart,1975), una distorsione illusoria e non riconosciuta della percezione dell’esperienza chiamata in Oriente “Maya”, che si dice rimanga non riconosciuta fino a quando noi non sottoponiamo i nostri processi percettivi e cognitivi ad una attenta osservazione introspettiva per mezzo della meditazione.
La persona che riesce a sradicare questa costruzione mentale illusoria si dice che ha conseguito il “risveglio”. Questo “risveglio” conosciuto nelle varie tradizioni meditative come illuminazione, liberazione, nirvana, satori, moksha è lo scopo delle discipline meditative.
Walsh ritiene che c’è un accordo generale tra la ricerca occidentale e le osservazioni orientali sul fatto che non riconosciamo molti dei nostri processi cognitivi normali, tuttavia la teoria orientale va oltre e asserisce che questo stato di “ignoranza” ci influenza tutti in maniera più penetrante, più sottile e deleteria di quanto non venga solitamente riconosciuto dalla psicologia occidentale e quindi è raccomandata la meditazione come terapia per curare tale condizione.
In linea con le affermazioni delle tradizioni meditative sulla natura distorta del nostro stato di coscienza ordinario discreto, anche il nostro senso normale di identità è distorto. Inoltre esse affermano che questa rivendicazione potrebbe essere direttamente provata da qualsiasi persona disposta ad esaminare minuziosamente i propri processi mentali attraverso la pratica meditativa. Attraverso questo esame microscopico, ciò che era precedentemente ritenuto essere un senso del Sè relativamente coerente e permanente (Sè, costrutto del Sè, rappresentazione del Sé) viene visto avente una natura composita e in continuo flusso, un continuo flusso di pensieri, immagini ed emozioni. Quindi la natura del Sè (come di tutte le cose) è quella di essere insostanziale (anatta) e impermanente (anicca). Il senso normale del Sè come continuo, permanente nel corso del tempo è stato descritto come una costruzione illusoria frutto di una consapevolezza debole ed imprecisa.
La teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali ha sviluppato una concezione del Sè o delle rappresentazioni del Sè che si sovrappone alla descrizione buddhista (Engler,1989). Per entrambi i sistemi:
<< ciò che noi consideriamo essere il nostro Sè e sentiamo come presente e reale è invece un’immagine interiorizzata, una rappresentazione composita costruita da ricordi selettivi e fantasie di passati incontri col mondo. Infatti, il Sè viene considerato come qualcosa che viene costruito in modo nuovo da un momento all’altro. Ma entrambi i sistemi concordano nel dire che il Sè non viene normalmente esperito in questo modo >> .

D’altra parte, anche l’Approccio comportamentale sembra essere vicinissimo al concetto di “anatta” buddhista. Infatti, Arrobbio Agostini scrive:
<< ...l’io è considerato un postulato operativamente superfluo, non verificato nell’esperienza. Ciò che l’esperienza ci evidenzia invece è un organismo individuale che interagisce con l’ambiente tramite repertori comportamentali strutturatisi nel tempo per effetto di apprendimenti.
L’Io, se così lo vogliamo chiamare, è definito dai comportamenti appresi dall’individuo nel corso del suo processo esperienziale: al di fuori dei comportamenti appresi, l’io è un a cui non corrisponde alcuna realtà sostanziale. Si ha quindi, nell’impostazione comportamentale, un rifiuto del significato ontico del concetto di io, per cui l’io sarebbe dotato di una propria esistenza indipendente, a favore di un significato logico: l’Io è un insieme di comportamenti interdipendenti ed empiricamente osservabili >> .
Da quanto detto è già evidente l’assonanza con il Buddhismo. Se l’individuo è definito dai suoi comportamenti (motori, cognitivi, emozionali, sociali) questo è tutto quanto è necessario dire dell’individuo.
Perciò l’Io è un costrutto superfluo ed astratto di nessuna utilità in psicologia. Come nel Comportamentismo, nel Buddhismo non esiste il concetto di Io. Nella psicologia buddhista, l’essere umano non è altro che un insieme psicofisico di 5 AGGREGATI (forma materiale, sensazioni, percezioni, formazioni mentali, coscienza) che lavorano in interdipendenza reciproca, per cui ciò che chiamiamo “essere” o “Io” è solo una combinazione di forze o energie mentali e fisiche che cambiano continuamenti. Non c’è nulla dietro ai 5 aggregati che possa chiamarsi “Io”. In termini di psicologia comportamentale, non c’è nulla dietro ai comportamenti che possa chiamarsi “Io”: ciò che chiamiamo “Io” è soltanto l’insieme psicofisico di repertori comportamentali interdipendenti.
Dunque, per ambedue i sistemi l’Io è un costrutto mentale o in termini buddhisti, .
Una implicazione di quanto detto è che liberarsi dall’Io significa non tanto trascendere, superare l’Io, ma innanzi tutto liberarsi dall’idea che un Io esista: abbandonare cioè un particolare modulo cognitivo di rapporto con la propria realtà.
Nel processo meditativo il senso dell’Io viene sperimentato come sempre più inconsistente (anatta) e impermanente (anicca) e alla fine come qualcosa che include un senso di identità con tutte le persone. Mentre continua questo processo si dice che la consapevolezza si identifica sempre meno con una cosa il particolare in maniera stabile ed esclusiva, così le dicotomie Io/non-Io, me/non-me diventano sempre più fluide ma, come discuteremo più avanti, ciò è molto diverso dagli stati di fusione psicotica o di regressione ad una unione col seno materno o a stati intrauterini. Si dice invece che l’espressione naturale di questo stato siano l’amore e la compassione.
Nell’unione mistica la dicotomia soggetto-oggetto viene trascesa mentre si rimane perfettamente consapevoli di questa dicotomia convenzionale.
Le tradizioni meditative andando al di là delle rivendicazioni psicodinamiche ed esistenziali, sostengono che la sofferenza e le spaccature interiori possono venire trascese, spostandoci verso stati di coscienza modificati in cui una persona non si identifica più esclusivamente con ciò di cui soffre, in altre parole col senso dell’Io (Walsh,1988).

2.1.3 Differenze di tecnica

Una differenza può essere rintracciata nel fatto che le tecniche meditative non sono create per portare il materiale fuori dall’inconscio.
Una utile distinzione usata in psicoterapia è quella tra metodi di copertura (covering) e metodi di apertura (uncovering) (Blanck e Blanck, 1974).
Nei metodi di copertura della psicoterapia il materiale inconscio che crea i problemi minacciando di emergere viene soppresso. Questi metodi sono spesso utili nella terapia breve, nell’affrontare le crisi, nel controllare le emozioni inconsce.
Per contrasto, le tecniche di apertura vengono designate per portare il materiale inconscio nella coscienza dove esso può essere esplorato, analizzato ed espresso.
Nella psicoterapia gestaltica una persona esamina come egli “interrompe se stesso”(Perls,1973) e cercando di diventare sempre più consapevole dei propri vissuti porta il materiale inconscio nella consapevolezza. Questo materiale inconscio può venire attivamente trattato con le metodologie analitiche classiche (associazioni libere, interpretazione, analisi del transfert) e/o con le metodologie della nuova terapia quali ad es. il Focusing, il Role Playing, ecc...
Per contrasto, le tecniche meditative non sembrano cercare attivamente il materiale inconscio. Essi considerano che l’emergere di questo materiale sia un ostacolo alla meditazione e non deve essere analizzato intellettualmente. Quindi o allontanano l’attenzione del meditante da tale materiale oppure permettono di continuare a concentrarsi con l’ipotesi che tale materiale possa essere disperso.
Le tecniche meditative di concentrazione sembrano essere tecniche di copertura (covering) (Engler,1989; Goleman,1982). Nella meditazione di concentrazione il tentativo è di concentrare l’attenzione su un punto (ad es., un oggetto, un immagine, un suono, un pensiero, un mantra) mentre vengono esclusi tutti gli altri stimoli (Goleman,1982). Questo è naturalmente, una disattenzione selettiva, una base per la soppressione o persino per la repressione. Questo sarebbe in armonia con lo scopo di eliminare gli ostacoli al raggiungimento degli stati alterati di coscienza e considerare la manifestazione del materiale inconscio nella consapevolezza come uno degli ostacoli maggiori al raggiungimento degli stati più profondi della meditazione.
Ma la meditazione vipassana (o di presenza mentale) possiamo intenderla come una tecnica di apertura. E’ stata descritta come una tecnica di “apertura”(Tart,1977) o di “svelamento” (Engler, 1989) dato che usando la presenza mentale uno osserva qualcosa che entra nella consapevolezza senza tentare di eliminarlo. Il risultato è che il materiale inconscio compare (Brown 1989; Engler 1989; Shapiro,1980; Walsh,1979; Welwood,1991; Miller,1993). Cioè la meditazione di presenza mentale fa da specchio, e quindi è molto verosimile che se una persona con delle difficoltà squisitamente psicologiche inizia a meditare ciò che gli mostrerà più chiaramente la meditazione sarà la sua difficile situazione psicologica e il bisogno di porre rimedio a questa situazione (Bergonzi,1996).
Dovrebbe essere anche osservato che fino ad un certo punto ciò compare anche nei metodi di concentrazione (Bogart,1991;Miller,1993).
C’è tuttavia una grande differenza nel modo in cui questo materiale viene trattato dal metodo di presenza mentale e dalla psicoterapia. Nelle psicoterapie, l’essenza del metodo è di tirar fuori attivamente e poi esplorare ed esprimere questo materiale. Ma nella meditazione inclusa quella di presenza mentale il materiale inconscio emergente è una distrazione, una contaminazione (“nivarana”). Questo materiale inconscio emergente viene disperso e non viene analizzato (Russell,1986).
Nella meditazione di presenza mentale il meditante osserva semplicemente il materiale emergente, le emozioni e le immagini senza rimanerne attaccato, e alla fine tale materiale scompare. I sentimenti e le emozioni che compaiono durante la pratica meditativa non vengono considerati come aventi nessuna importanza, come essi l’hanno nella psicoterapia. Questa mancanza di attenzione speciale sembra permettere una qualche liberazione di materiale inconscio forte, ma tale materiale potrebbe non riuscire a portare fuori altro materiale. Allora la meditazione può fare emergere dei problemi (Engler,1989; Walsh,1984; Carringhton,1980, Miller,1993; Russell,1986) e può aiutare a risolverne alcuni.
Ciò accade, ma deve essere considerato un epifenomeno, un fenomeno secondario che non sempre si mostra. Perciò, c’è un problema riguardante l’efficacia di questo procedimento come psicoterapia (Bergonzi,1996).
Naturalmente, prestando attenzione a questo materiale emergente potrebbe agire a danno del progresso nella meditazione (Engler,1989; Brown,1989).
In sintesi, possiamo sostenere che i maggiori sistemi meditativi non prestano molta attenzione alle psicodinamiche inconsce e il materiale inconscio emergente è una “contaminazione” che è soltanto un ostacolo al progresso nella meditazione.
Questi sistemi orientali non studiano il contenuto inconscio di per sè, nè usano le tecniche per tale fine, ma hanno un grosso potere di autoesplorazione. Ciò ha portato a considerare la meditazione, dal punto di vista delle psicoterapie occidentali, come una tecnica di autoesplorazione. Ma nel contesto originario la meditazione è primariamente una tecnica di autotrascendenza o autoliberazione.
La meditazione può essere combinata con la psicoterapia per studiare il mondo interno, gli stati inconsci e gli stati più alti di coscienza, così come la coscienza ordinaria giornaliera, oppure può essere utilizzata in parallelo con la psicoterapia. Così non sembra esserci una completa opposizione tra la meditazione e la psicoterapia. Piuttosto, esse sembrano trattare due aspetti separati e distinti ma correlati della psiche umana.
Il materiale inconscio potrebbe essere portato nella coscienza dalla meditazione e infatti la meditazione profonda (specialmente quella intensiva) sembra aumentare l’apertura alla manifestazione di tale materiale. La meditazione quanto meno potrebbe sensibilizzare la persona al suo mondo interno.
Sembra particolarmente utile la concettualizzazione della meditazione come una “META-TERAPIA” :
<< Una procedura che porta a termine gli scopi maggiori delle terapie convenzionali e tuttavia ha come suo stato finale un cambiamento che va al di là dello scopo delle terapie e dei terapeuti, e della maggior parte dei teorici della personalità, uno stato alterato di coscienza >> .
Kokoszka pone un limite alla integrazione della meditazione nella psicoterapia e scrive circa gli scopi della meditazione e della psicoterapia:
<< Lo scopo della psicoterapia è di ristabilire la salute, lo scopo della meditazione è l’autosviluppo attraverso uno specifico modo di vivere >> .
Ciò porta al problema dei valori del paziente in psicoterapia per cui la meditazione in psicoterapia non suscita nessun problema se usata come tecnica di rilassamento, ma assunta nel senso di autosviluppo attraverso uno specifico modo di vivere è una questione di scelta del paziente (Kokoszka,1986).
L’aggiunta delle tecniche meditative alla psicoterapia non è una sfida alla psicoterapia nè comporta una riduzione della funzione dei terapeuti ma al contrario questa integrazione riconosce un ruolo alla psicoterapia e agli psicoterapeuti più esteso e più pieno.

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Messaggio Da INFERNO Gio 10 Dic 2009, 21:49

http://it.wikipedia.org/wiki/An%C4%81tman

Anatta

« 'I figli sono miei! La ricchezza è mia!': a tali pensieri uno stolto diviene ansioso. Invero, un sé che possa dirsi mio non esiste e allora come possono dirsi miei i figli e la ricchezza? »

(Dhammapada)
La dottrina dell'anātman (sanscrito, anattā, pāli) è propria del Buddhismo, e afferma l'inesistenza dell'ātman, cioè di un io individuale permanente e viene annoverata tra i Tre Segni dell'Esistenza.
Si tratta di una concezione che ha dato origine a interpretazioni molto varie all'interno delle diverse tradizioni buddhiste.
Anātman è una parola composta dal prefisso negativo a e dal termine atman, traducibile come "sé", "personalità individuale", "anima". Per questo nel buddhismo non è corretto parlare di reincarnazione come si fa normalmente nell'induismo, ma di rinascita, piuttosto.
Non si dovrebbe tradurre questo termine essenziale per la filosofia buddhista con "persona", giacché il Buddha negò il Sé, l’anima imperitura, la personalità, non la persona. Negli insegnamenti canonici tuttavia è dettagliata la scomposizione della personalità nei cinque costituenti individuali, gli skhanda (sans., khandha, pāli). Parrebbe una contraddizione affermare prima l'inesistenza intrinseca di un ente di cui poi sono elencati i costituenti. Ma va tenuto conto del fatto che il Buddha non intese negare la persona, spesso denominata nāma-rūpa, ossia l'insieme del corpo fisico che si manifesta ai sensi (rūpa, lett. "forma") e dei suoi attributi mentali e concettuali (nāma, letteralmente "nome"), bensì volle ricondurre lo sguardo dei discepoli su quello che egli riteneva fosse il Sé: un insieme costituito di elementi che nella loro simultaneità di attività e di interazione tra elementi interdipendenti facilmente danno l'illusione che esista un Sé assoluto, permanente, individuale e capace di sopravvivere la cessazione del corpo.

Anche nel buddhismo, come in altre religioni e filosofie indiane, si parla di due livelli di realtà: la realtà convenzionale e la realtà ultima o superiore o quella delle cose così come realmente sono. A livello convenzionale si può parlare di individui, di Sé come di entità separate che si rapportano al mondo fenomenico con pronomi personali e possessivi quali "io" e "mio". Ma un po' come la biologia e la chimica ci dicono che siamo composti da entità in equilibrio dinamico e mutevoli, come i tessuti, le cellule, le molecole, gli atomi e così via, anche nella filosofia buddhista la persona è composta da elementi chiamati skhanda che a loro volta sono divisibili nei dharma (sans., dhamma, pāli), i costituenti elementari del mondo sensibile. La differenza tra il microscopio del chimico e lo sguardo del Buddha è che quest’ultimo osserva e scompone i fenomeni sulla base del loro impatto sulla psicologia, sulla capacità cognitiva o sulla mentalità dell’individuo. Quando nel buddhismo si parla di Io, Sé e ego, non abbiamo però a che fare con concetti della odierna psicologia.

Come scrive lo Schumann, la dottrina dell'anatman non fa la sua comparsa nel primo insegnamento del Buddha ai cinque asceti di Uruvela, (il Dharmacakrapavartana sutra, sans., Dhammacakkapavattana sutta, pāli) per cui sarebbe il frutto di una successiva elaborazione ed approfondimento della sua esperienza mistica e comprensione del reale. Compare invece nell'anattalakkhana sutta (pāli, sans. ??), il "discorso sui contrassegni del non-Sé", dove il Buddha afferma che i cinque aggregati psicofisici della persona non sono il Sé perché composti e impermanenti. Questo non è la stessa cosa che dire che non esista, ma il Maestro è riportato considerasse il Sé come il prodotto di un processo di attaccamento o di visione scarsamente profonda. Sicuramente, come per tutti gli altri aspetti della sua dottrina, il suo silenzio riguardo i più intimi dettagli di questa concezione era sia dovuto alla sua volontà di evitare di incoraggiare speculazioni metafisiche, che al voler piuttosto invitare i suoi discepoli a spingere la propria investigazione penetrando il problema fino alla sua radice, giungendo alla retta conoscenza grazie all'esperienza diretta ottenuta con una pratica soltanto orientata, ma non dettata, dagli insegnamenti del Maestro.

In sostanza il Buddha volle rilevare che quello che sembra il Sé è solo brama, attaccamento e illusione. La liberazione passa per il non attaccamento, per l’abbandono del Sé, ma non della persona. Se qualcosa passibile di essere detto un Sé si ritiene debba esistere, ciò potrebbe essere soltanto qualcosa che rimanga dell’identità della persona una volta sradicato l’attaccamento a tutto quanto è volgarmente detto il proprio "Sé".
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Messaggio Da INFERNO Sab 12 Dic 2009, 21:29


L'ULTIMA PARTE DEL FILMATO, E' STATO LASCIATO A SCHERMO NERO, PER PERMETTERE A NOI TUTTI, DI COMPLETARLO CON LE NOSTRE ESPERIENZE E LE RIFLESSIONI VISSUTE
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Messaggio Da INFERNO Mar 15 Dic 2009, 10:01

La fisica quantistica e la Sincronicitá sono strettamente legate fra loro. La fisica quantistica infatti é anche detta "meccanica quantistica" che é poi il suo funzionamento sincronico.
Sono presenti nel mondo e nel vivere quotidiano come un qualcosa che non puo' fare a meno dell'altra ed allo stesso tempo uno non puo' esistere senza l'altra. La sincronicitá batte il tempo della fisica quantistica e questa a sua volta diviene "sincronica".

Tutta la realtà è una fluttuazione di particelle quantistiche e la nostra coscienza, una particella di un’intelligenza cosmica che possiamo, per praticità, chiamare Dio, è la vera intelligenza in grado di trasformare queste fluttuazioni di energia in materia vivente ed in eventi sincronici.

Misteriosi eventi sincronici sembrano costellare la vita di ognuno di noi. Improvvisamente un evento accade in perfetto sincronismo con un pensiero, e l’evento stesso racchiude sempre un significato profondo il cui scopo è quello di guidare la nostra vita verso il proprio destino. Il fenomeno della “sincronicità” è da tempo studiato anche e soprattutto dai fisici quantistici. Questi studi hanno le loro radici nell’armonioso e durevole connubio tra il grande psicologo analitico Carl Gustav Jung e il fisico quantistico Wolfgang Pauli.

Le ricerche attuali mostrano che in natura tutto sembra muoversi in sintonia e che il mondo sembra essere rotto all’improvviso da eventi simbolici e pieni di significato che ci ricordano che non siamo fatti di sola materia, ma soprattutto che l’universo ha la sua matrice in una coscienza universale, quella che già Jung aveva scoperto nella forma dell’inconscio collettivo, l’origine di tutte le sincronicità.


"Onnipresente e continua nella vita, nella natura e nelcosmo. E’ il cordone ombelicale che connette pensiero, sentimenti, scienza e arte al grembo dell’universo che li ha partoriti" .
Paul Kammerer

"Se le recentissime conclusioni delle scienze naturali si approssimano a un concetto unitario della realta' , al quale si adattano da un lato gli aspetti di spazio e tempo e dall'altro quelli di causalita' e sincronicita', cio' non ha niente a che fare col materialismo. Piuttosto sembra emergere qui la possibilita' di eliminare l'incommensurabilita' tra osservatore e osservato" (C.G.Jung).

Se quando studi la scienza da molto tempo e con molto serietà, non ti senti pazzo… non hai capito nulla.
[Fred Alan Wolf, in What the bleep do we know?]
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Messaggio Da INFERNO Gio 17 Dic 2009, 21:37

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Messaggio Da SOFFICE Sab 19 Dic 2009, 00:04

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Messaggio Da ROMPINA Sab 19 Dic 2009, 00:17


CI RIPROVO.....UNA CANZONE PER L'ANIMA.
"RIVER FLOWS IN YOU" -YIRUMA....SOFFICE ASCOLTO IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Icon_flower

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Messaggio Da ROMPINA Sab 09 Gen 2010, 19:27

......VERSO LA SUA FONTE ORIGINARIA .....LA LUCE.

UN SOFFICE INCHINO ZEN

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IL SOFFIO DELLA VITA - Pagina 9 Empty IL GUERRIERO DELLA LUCE

Messaggio Da ROMPINA Sab 09 Gen 2010, 19:32


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Messaggio Da ROMPINA Mar 13 Apr 2010, 13:45

"Il silenzio il più grande e assordante rumore per chi non ha orecchie"

"La verità non tutto cio che guardi tutto cio che senti ma la somma di tutto cio che provi"

UN SOFFICE INCHINO ZEN

ROMPINA
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